Facilmente possiamo avvicinarci ai Grandi (i pochi e rari) e ai Saggi (pure questi non molti..) semplicemente comprendendo, con semplicità fanciullesca e feroce coraggio, che la verità ultima delle vita e la chiave di essa è la Morte. Lo diceva bene lo scrittore francese Céline quando ricordava che qualcosa assumeva valore se sul “piatto” veniva posta la Morte, null’altro. Così nella vita, negli scritti, nelle parole.
Ma cos’é la Morte? La celebrazione parolaia dei funerali moderni? Un evento cultistico che affascina i celebrolesi che si tatuano teschi e fanno i “dark“, i modaioli dell’orrido? L’occasione dei costruttori di religioni avvilenti per asservire i timorosi, per vendere a caro prezzo paradisi artificiali? No, la Morte è la chiave. La chiave che apre le porte della coscienza in vita.
Quando scoppia una guerra, quando rimaniamo senza lavoro o soldi, quando perdiamo nella vita, quando sia feriti a tradimento, quando s’infrange un amore in cui avevamo creduto, quando la solitudine dell’incomprensione ci sbatte in un angolo, quando cambia completamente l’orizzonte, quando per noi è come morire (certo solo “interiormente”, ma i segnali fisici sono simboli per chi vede, cambiano gli sguardi, cambiano le parole..), in questa illusoria morte, di cosa diveniamo immediatamente coscienti? Esattamente del fatto che vi è un altra realtà possibile, che noi stessi siamo soggetti a processi alchemici interiori, che mutiamo in un altra veste, che risorgiamo con nuova identità, completamente diversa dalla precedente, ormai perduta.
Ecco quindi Nietzsche “Occorre morire molte volte quando si è ancora in vita per guadagnarsi l’immortalità” si rilegga il suo Zarathustra per esaltarsi con il fuoco della coscienza della Morte e con la necessaria purezza con cui vivere la rinascita, in quella mirabile opera immortale, un opera di liberazione dai veleni moderni quali il nichilismo, il pressapochismo, il servilismo dogmatico nei confronti dello Stato corrotto e dell’avvilente religione cristiana, ecc..
In questo caso Nietzsche parla di immortalità, a tal proposito sarebbe il caso di studiare i Miti e la loro rappresentazione dell’altro mondo, di ragionare intorno all’eterno ritorno, alla tematica della reincarnazione; ma per adesso si rimanga stretti all’idea che rinascere ogni volta che si muore (interiormente) in vita, ci avvicina alla vita più vera che si possa vivere, naturalmente se tali rinascite sono avanzamenti di coscienza circa la morte e non abbruttimenti privi di analisi.
La Morte è una chiave che fa aprire porte da cui entra nuova luce sulle cose che pensavamo di comprendere ed in verità non avevamo mai avuto sotto l’occhio della nostra coscienza. Pensiamo alle piccole invidie quotidiane, alla stupidità dell’odio contro un nemico esterno, pensiamo alla mutevolezza dei sentimenti, pensiamo alla ferocia dei giudizi, pensiamo ai “veli” caduti nel nostro cammino di fronte alla realtà che piano piano ci si rivelava sempre più ampia e profonda..ebbene, quanto è necessario esser più realistici, più sinceri, più bambini in relazione a tali cose? Occorre leggerezza, occorre anima eterea e carattere – quest’ultimo elemento che per i Romani significava Virtù. Lo stesso Céline, precedentemente citato, desiderava infatti vedere proprio nell’uomo un pò di sana leggerezza, verace fanciullezza, un vero coraggio, invece negli orrori della guerra, nella disgregazione della civiltà moderna, nella degenerazione della pubblicità, non vide altro che maschere pesanti, maniaci contorti, uomini nati vecchi.
“…il mondo mi sembra straordinariamente pesante con i suoi personaggi sostenuti, petulanti, sguaiati, incollati ai loro desideri,
alle loro passioni, ai loro vizi, alle loro virtù, alle loro spiegazioni. Pesanti, interminabili, striscianti, mi sembrano così le persone, inebetite, insopportabili
nella loro petulante lentezza. Pesanti. Riesco in definitiva a classificare gli uomini e le donne solo in base al loro “peso”.
Pesano…Ruminano venti ore, vent’anni…lo stesso coito, lo stesso pregiudizio, lo stesso odio, la stessa vanità…”
(Louis Ferdinand Céline, Lettera a Eveline Pollet, maggio 1938)
La Morte ci fa capire che il nostro tempo non solo è limitato ma è occasione di realizzazione interiore per sottostare al valente imperativo Nietzsciano “Diventa ciò che sei“. Un imperativo non facile, perché occorre essere leggerissimi al fine di legarvisi e fondervisi. Ci viene in aiuto a tal proposito il grande imperatore filosofo Marco Aurelio che scrisse “Ognuno vale quanto ciò che ricerca“..ma cosa ricercare ci si potrebbe chiedere. Soldi? Potere? Cosa? Potremmo avere anche tutto questo, chissà, ma non sfuggiremo alla Morte e ci perderemo il suo valore così come quello della vita. E poi dov’è in tali cose (soldi, potere, ecc..) il valore oltre il piano fisico? La chiave della Morte non aprirà alcuna porta se non avremo il coraggio di tenercela vicina. A quel punto, una volta interiorizzata e tenuta con noi (come i grandi Samurai insegnavano), diventeremo più leggeri, più sinceri, come fanciulli e con coraggio noi “saremo” senza più maschere, e nel morire ad ogni dolore o sconfitta, godremo anche d’un pizzico di gioia per la prossima rinascita, perché cercheremo di non dimenticare mai “noi stessi” e di non tradirci.
La Morte sia un caleidoscopio di pensieri intorno all’oggetto sacro della vita, per quest’ultima si combatta, si sogni, si ami, si celebri ogni istante, mentre per la sua negazione fisica apparente, la Morte, si comprenda il ruolo di maestra che indica, che suggerisce, che sfiora, che strappa, che rende musica la nostra silente ignoranza di fronte alla nostra presenza qui, finché da sordi non si diventi udenti e poi vedenti e poi coscienti.
Un ultima frase “È forse questo che si cerca nella vita, nient’altro che questo, il più grande dolore possibile per diventare se stessi prima di morire.” (Louis Ferdinand Céline), per iniziare un viaggio (nuova vita) in una terra infinita che sia anche leggera (la coscienza), in una sacra battaglia dove non possiamo morire, perché non esistono più nemici, ma solo il nostro tempo sacro e il nostro Fato amato.
Andrea Larsen